fbpx
×
XS
SM
MD
LG

La “cedolare secca” è un regime facoltativo, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, nei contratti di locazione degli immobili. In più, per i contratti sotto cedolare secca non andranno pagate l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione. La cedolare secca non sostituisce l’imposta di registro per la cessione del contratto di locazione. La scelta per la cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto.

Con l’approvazione della Legge di Bilancio 2017 entrano in vigore una serie di misure fiscali destinate ad incidere profondamente sulle scelte dei contribuenti e a orientarne i comportamenti. Ecco in sintesi le principali misure che riguardano la casa.

Come capita ormai da diversi anni sono prorogate per il periodo di imposta 2017 le maggiori detrazioni:

  • del 50% sulle ristrutturazioni edilizie, fino a euro 96.000 come massimo di spesa ammessa al beneficio;
  • del 65% per il risparmio energetico per gli interventi su singole unità immobiliari, per le schermature solari, per gli impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili e per i dispositivi multimediali per il controllo da remoto per riscaldamento o climatizzazione, confermando i limiti di spesa in vigore;
  • del 50% per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, fino a euro 10.000 per i lavori iniziati dal 1° gennaio 2016.

Nella Legge di Bilancio per il 2017 non si rinviene la proroga relativa al bonus mobili per le giovani coppie, che si ritiene quindi non più in vigore per il 2017.

Inoltre è da segnalare:

  • la versione potenziata delle detrazioni per le misure antisismiche che si applicherà fino al 31/12/2021 e riguarda gli edifici ubicati nelle zone sismiche 1, 2 e 3. Sarà possibile detrarre fino al 70% (75% per i condomini) e 80% (85% per i condomini) a seconda del miglioramento di classe di rischio sismico (uno o due classi);
  • una nuova detrazione Irpef (valida anche per l’Ires) del 70% per il quinquennio 2017-2021, per gli interventi di riqualificazione energetica di parti comuni condominiali, che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo. Questo bonus arriva al 75%, se si conseguono determinati indici di qualità media di cui al decreto 26 giugno 2015.

 

Rent to buy

affitto-a-riscatto1

1. Cos’è il contratto RENT TO BUY?

È un nuovo tipo di contratto in cui si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile. Significa che il proprietario consegna fin da subito l’immobile al conduttore/futuro acquirente, il quale paga il canone; dopo un certo periodo di tempo il conduttore può decidere se acquistare il bene, detraendo dal prezzo una parte dei canoni pagati.
Esempio: Si consideri la vendita di un appartamento per il prezzo di 100.000 €. Il canone mensile è convenuto in 1.000 € mensili. Una parte di questo prezzo, ad esempio 500 €, viene dato per il godimento del bene, come se fosse un normale affitto. E questa parte si “perde”, proprio come in una normale locazione. Il residuo, cioè i 500 € mancanti, si imputano al prezzo (cioè sono come un acconto sul prezzo di vendita), per cui hanno come effetto quello di ridurre il prezzo finale di vendita. Se dopo 5 anni il conduttore deciderà di acquistare il bene non dovrà pagare 100.000 €, ma 70.000 €, perché 30.000 € sono già stati pagati con parte dei canoni.

2. Il conduttore è obbligato a comprare la casa dopo il periodo di “affitto”? Entro quale termine potrà decidere di acquistarla?

No, la legge prevede che il conduttore abbia la facoltà ad acquistare il bene, ma non un obbligo.
Ovviamente le parti possono concordare che il conduttore sia obbligato ad acquistare, ma allora il contratto è diverso dal rent to buy.
Il termine entro il quale il conduttore potrà decidere di acquistare la casa è stabilito dalle parti, entro i dieci anni.

3. Quali sono i vantaggi e i rischi per chi vende?

Il vantaggio principale è la possibilità di trovare un numero più elevato di potenziali acquirenti.
Il rischio è che il conduttore decida di non comprare la casa. In tal caso, però, il proprietario può trattenere tutto o parte di quanto è stato pagato (e sarà una somma maggiore rispetto ad un normale canone di locazione). L’altro rischio è quello di trovarsi l’immobile occupato dal conduttore divenuto inadempiente e di dover fare ricorso al giudice per liberare il bene e venderlo ad altri.

4. Il proprietario, in caso di mancato acquisto o di mancato pagamento dei canoni dovrà intraprendere un procedimento di sfratto, con tutto quello che comporta in termini di tempo e di costi?

La procedura non è quella di sfratto, ma di rilascio del bene: molto più breve e meno costosa; ma il tempo di rilascio del bene dipende dai singoli tribunali.
Per poter seguire questa procedura sarà necessario prevedere apposite clausole nell’atto di rent to buy: il notaio saprà dare adeguati consigli.

5. Ci sono altre tutele che il venditore deve adottare?

E’ opportuno che il canone sia più elevato rispetto ad un normale canone di locazione e che la parte dei canoni che il proprietario potrà trattenere nel caso in cui non si arrivi alla vendita siano concordati in modo che il proprietario venga adeguatamente indennizzato per la mancata conclusione di altri affari. Ciò indica anche la serietà dell’impegno del conduttore all’acquisto del bene.

6. Il conduttore è tutelato?

Si. La legge prevede la trascrizione nei registri immobiliari del contratto di rent to buy, che consentirà al conduttore di acquistare il bene libero da ipoteche, pignoramenti, o altre pregiudizievoli, che emergano dopo la trascrizione del rent to buy. La trascrizione ha una durata massima di 10 anni.
Questa tutela permane anche in caso di fallimento del venditore.

7. Cosa può essere oggetto del RENT TO BUY? Anche gli immobili in costruzione?

Il rent to buy può avere ad oggetto qualsiasi immobile: appartamenti, autorimesse, cantine, negozi, uffici, capannoni e negozi. Persino terreni.
Può avere ad oggetto un immobile in costruzione. Tuttavia se il bene è allo stato grezzo, sarà necessario cancellare l’ipoteca che grava sul bene; è però possibile prevedere l’accollo del mutuo.
Per le imprese di costruzione il rent to buy potrebbe rappresentare un valido strumento per pagare le rate del mutuo originariamente contratto per la costruzione.

8. Per il RENT TO BUY relativo ad un immobile in costruzione, se l’impresa fallisce il conduttore perde il proprio denaro?

No: il contratto di rent to buy continua anche in caso di fallimento del proprietario. Inoltre, la vendita non è soggetta a revocatoria fallimentare, se pattuita al giusto prezzo e si tratta di abitazione principale del conduttore o dei suoi parenti o affini più stretti.

9. Il conduttore/acquirente può riservarsi la nomina di un terzo in sede di rogito?

Si, la legge è elastica sul punto e prevede la facoltà di riservarsi la nomina di un terzo come in tutti i contratti preliminari.
E’ anche possibile prevedere la cessione del contratto.

10. Quali imposte si pagano? Il RENT TO BUY è conveniente?

Bisogna distinguere se chi concede il godimento in vista della futura vendita è un privato o un’impresa, e bisogna distinguere anche tra imposte dirette (a carico del proprietario/venditore) ed indirette (a carico del conduttore/acquirente).
Si deve, inoltre, tenere conto che non c’è ancora una disciplina specifica sul piano tributario.
In ogni caso, per valutare i vantaggi (o gli svantaggi) fiscali è necessario valutare la specifica posizione fiscale del venditore, facendo un’analisi economica e fiscale del singolo caso concreto.
Anche per questo motivo il cliente ha bisogno fin dall’inizio della collaborazione di un professionista. Naturalmente i notai italiani sono competenti a valutare l’operazione nel complesso ed a consigliare il cliente. La consulenza notarile consente di affrontare con completezza, serietà e professionalità, ogni singola questione fin dal momento iniziale così da evitare danni futuri.
Va precisato che nel periodo del godimento (paragonabile alla locazione), le imposte legate al possesso dell’immobile sono a carico del proprietario, come in qualsiasi contratto di affitto.
Le spese di trascrizione del contratto nei registri immobiliari sono, invece, a carico dell’acquirente, come le spese ed imposte dovute per l’atto di compravendita dell’immobile.

rent-to-buy-notaio-Massimo-dAmbrosio

testamento

La decisione di accettare o meno un’eredità può non essere scontata. Quando parliamo di eredità, nel linguaggio comune intendiamo l’acquisizione di beni che erano di proprietà della persona venuta a mancare, ma in realtà l’erede subentra al defunto anche negli eventuali debiti e passività, magari riguardanti solo imposte non pagate, cosa che oggi può accadere abbastanza di frequente. Per questo, in presenza di un’eredità, può essere utile porsi il problema dell’accettazione. Si può accettare un’eredità in maniera espressa oppure tacita.

Accettazione espressa o tacita
L’accettazione espressa consiste nella dichiarazione contenuta in un atto scritto (atto pubblico o scrittura privata) di accettare l’eredità, compiuta dal chiamato all’eredità. L’accettazione tacita, la più ricorrente nella prassi, consiste nel compimento da parte del chiamato all’eredità di un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe potuto compiere se non in quanto erede.

L’erede subentra
A seguito dell’accettazione espressa o tacita il chiamato all’eredità diventerà erede puro e semplice, cioè subentrerà – proporzionalmente alla sua quota nel caso vi siano altri eredi – con effetto dal momento in cui si è aperta la successione, nella posizione giuridica del defunto e dovrà rispondere con il proprio patrimonio degli eventuali debiti ereditari. Ne consegue che, se le passività sono di valore superiore a quello delle attività, l’erede subirà un pregiudizio patrimoniale, dovendo attingere dal proprio patrimonio le risorse per estinguere i debiti ereditari (eredità passiva). L’accettazione di eredità determina pertanto per l’erede la “confusione dei patrimoni”. Per evitare l’effetto della confusione dei patrimoni, il chiamato all’eredità potrà, in alternativa:

Rinunciare all’eredità
Soluzione consigliata se si ha la certezza che l’eredità è passiva e salvi gli effetti della rappresentazione, cioè del meccanismo per il quale, se il rinunciante è discendente del defunto o di fratello o sorella del defunto, a seguito della rinuncia subentrano i suoi figli, che dovranno preoccuparsi a loro volta di rinunciare.

Sì con beneficio di inventario
Soluzione preferibile se non vi è certezza che l’eredità sia passiva, ma non si vuole correre il rischio di incorrere nella confusione dei patrimoni. L’accettazione di eredità con beneficio di inventario è uno speciale tipo di accettazione espressa (non esiste l’accettazione tacita con beneficio di inventario) che deve essere compiuta mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del distretto in cui si è aperta la successione. Entro un anno dalla morte va presentata presso l’Agenzia delle Entrate dell’ultimo domicilio del defunto la dichiarazione di successione, con l’elenco dei beni immobili e il saldo di conti correnti e dossier titoli. Contestualmente viene pagata una somma pari al 3% del valore dichiarato degli immobili, a titolo di imposte ipotecarie e catastali. Queste si riducono a due imposte fisse di 200 euro ciascuna per l’eventuale prima casa, nel caso uno degli eredi possa richiedere le relative agevolazioni. In seguito verrà richiesta dall’Ufficio l’imposta di successione, ma solo se il valore dell’asse ereditario supera le franchigie previste dalla legge, che variano in funzione del grado di parentela fra defunto ed eredi. Per il caso più frequente, cioè l’eredità destinata al coniuge e ai figli, la franchigia è di un milione di euro per ciascun erede.

Acquistare casa

L’ATTO PUBBLICO DI VENDITA (ROGITO)

La compravendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà della casa verso il corrispettivo di una somma di denaro (prezzo); più genericamente si può dire che la compravendita immobiliare è l’accordo formale con il quale una parte, detta venditrice, trasferisce ad un’altra, detta acquirente, la proprietà di un determinato immobile a fronte del pagamento del prezzo pattuito. Per questi elementi di scambio, la compravendita (scambio di cosa contro denaro) si distingue dalla permuta (scambio di cosa contro cosa). L’atto di compravendita, detto anche rogito, normalmente si stipula davanti al notaio, presenti il venditore e il compratore, ed è redatto in forma pubblica. In tal modo il notaio garantisce l’identità delle parti, la legalità dell’atto e la veridicità di quanto in esso dichiarato. Al notaio spettano i controlli formali sull’esistenza di ipoteche o altri vincoli, sul rispetto delle norme edilizie e la conformità del rogito con gli atti precedenti (ad es.: il compromesso). Il rogito è l’atto conclusivo della compravendita. A seguito degli aggiornamenti normativi disposti dalla legge finanziaria 2006 (266/2005) e del decreto Bersani 223 del 2006 (diventato poi legge 248/2006), nelle cessioni di immobili ad uso abitativo intercorse tra privati il rogito deve riportare, tra gli altri dati:

  • l’effettivo valore di cessione dell’immobile;
  • le indicazioni analitiche delle modalità di pagamento (assegno, bonifico, etc);
  • l’eventuale ricorso di una o di entrambe le parti ad attività di mediazione e, in caso affermativo, tutti i dati identificativi del titolare, se persona fisica, o la denominazione, la ragione sociale ed i dati identificativi del legale rappresentante, se soggetto diverso da persona fisica, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la stessa società, la partita IVA, il codice fiscale, il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e della camera di commercio;
  • le spese sostenute per detta attività, con le analitiche modalità di pagamento della stessa.

In caso di assenza dell’iscrizione al ruolo di agenti di affari in mediazione, il notaio, inoltre, è obbligato ad effettuare apposita segnalazione all’Agenzia delle Entrate.

LE IMPOSTE SULL’ACQUISTO DELLA CASA

L’acquisto della casa comporta il pagamento di alcune imposte, che variano a seconda della destinazione dell’immobile e del soggetto venditore. Quando si acquista la “prima casa” si può godere di un regime fiscale agevolato che consente di pagare le imposte in misura inferiore rispetto a quelle ordinariamente dovute.

Per effetto degli articoli 10 del Dlgs 23/2011 e 26 del Dl 104/2013, a partire dal 1° gennaio 2014 le imposte relative al trasferimento di immobili verranno modificate con l’obiettivo di diminuire il carico fiscale sulle compravendita tra privati di immobili destinati all’utilizzo come prima casa.

Se oggetto dell’acquisto è la prima casa l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte fino al 31 dicembre 2013:
quando il venditore è un privato

  • imposta di registro del 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)

Nel caso l’immobile sia registrato al catasto come immobile di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) l’imposta di registro ha un valore del 7% sul valore dell’immobile fino al 31 dicembre 2013, per poi passare al 9% dal 1° gennaio 2014.

quando si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) entro 5 anni dall’ultimazione lavori

  • IVA del 4%
  • imposta di registro fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)

quando si acquista da impresa non costruttrice che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione oppure si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) dopo 5 anni all’ultimazione dei lavori

  • IVA esente
  • imposta di registro del 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)

Se oggetto dell’acquisto è un immobile ad uso abitativo non prima casa l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte:
quando il venditore è un privato oppure un’impresa “non costruttrice”e che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione, oppure un’ impresa “costruttrice” (o di ristrutturazione) che vende dopo 5 anni dalla data di ultimazione dei lavori

  • imposta di registro del 7% (9% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria del 2% (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale del 1% (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)

quando il venditore è un’impresa costruttrice (o di ristrutturazione) che vende entro 5 anni dall’ultimazione lavori

  • IVA del 10% (22% se immobile di lusso)
  • imposta di registro fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)

Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono versate dal notaio al momento della registrazione dell’atto. Dal 1° gennaio 2007 ( per effetto della legge finanziaria per il 2007), soltanto per le compravendite di immobili ad uso abitativo, comprese le relative pertinenze (box, garage, cantine) a favore di un privato (acquirente), si può assumere come base imponibile il valore catastale, anziché dal corrispettivo pagato.

Per tutte le altre compravendite in cui l’acquirente non è un privato e/o che riguardano terreni, negozi o uffici, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale.

Quando la vendita della casa è soggetta ad Iva, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale. Relativamente a queste cessioni, le nuove disposizioni consentono all’ufficio di rettificare direttamente la dichiarazione annuale Iva del venditore se il corrispettivo dichiarato è inferiore al “valore normale” del bene. La legge definisce come valore normale “…il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (articolo 14 del D.P.R. n. 633 del 1972).

L’acquirente può chiedere al notaio che la base imponibile ai fini dell’applicazione delle imposte (registro, ipotecaria e catastale) sia costituita dal valore catastale dell’immobile, indipendentemente dal prezzo dichiarato dalle parti. In tal caso il rogito deve riportare anche il valore catastale dell’immobile. L’agevolazione spetta a condizione che nell’atto sia indicato l’effettivo importo pattuito per la cessione.

Nel caso in cui la compravendita sia tassata sulla base del valore catastale la legge stabilisce, inoltre, che le tariffe notarili devono essere ridotte del 30%.

Se, però, per l’acquisto della casa, l’acquirente ha contratto un mutuo o chiesto un finanziamento bancario, la base imponibile non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o del finanziamento erogato. Allo stesso tempo, non è possibile detrarre ai fini Irpef interessi passivi derivanti da importi di mutuo superiori al prezzo di acquisto.

L’omissione, la falsa o incompleta dichiarazione comportano (oltre all’applicazione della sanzione penale) l’assoggettamento, ai fini dell’imposta di registro, ad accertamento di valore dei beni trasferiti. In sostanza, l’ufficio applicherà le imposte sul valore di mercato dell’immobile, anche se le parti avevano richiesto la tassazione sulla base del valore catastale. Inoltre sono previste onerose sanzioni pecuniarie amministrative.

Dal 2007 è possibile detrarre fiscalmente ai fini Irpef (nella misura del 19%) i compensi corrisposti agli intermediari immobiliari per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. La detrazione è fruibile per un importo comunque non superiore a 1.000 euro e la possibilità di portare in detrazione questa spesa si esaurisce in un unico anno d’imposta. Se l’acquisto è effettuato da più proprietari, la detrazione, nel limite complessivo di 1.000 euro, dovrà essere ripartita tra i comproprietari in ragione della percentuale di proprietà.

L’acquirente, per poter fruire dell’applicazione delle imposte (di registro, ipotecaria, catastale) sul valore catastale dell’immobile, deve farne esplicita richiesta al notaio.

Locazione

come-affittare-casa-senza-sorprese

 

La legge di stabilità (Legge 27.12.2013 n. 147 art. 1 comma 49 e 50) al fine di combattere l’evasione, ha vietato l’uso del denaro liquido per i pagamenti dei canoni di locazione, inoltre, la stessa norma ha autorizzato i Comuni ad accedere ai registri dell’anagrafe condominiale (ex art. 1130 comma 1 n.6 cc) per verificare gli occupanti dell’unità immobiliare.

La legge di stabilità (Legge 27 dicembre 2013 n. 147) del 2013 per il 2014 ha imposto il divieto del pagamento in contati per le locazioni, è  opportuno sottolineare che il testo di legge che, si ripete, impone l’obbligo di pagamento in forme e modalità che escludano l’uso del contante e ne assicurino la tracciabilità, si riferisce solo alle “unità abitative”.

Il riferimento alle “unità abitative” (in luogo della locuzione “unità immobiliari”)  potrebbe far pensare che il legislatore abbia vietato l’uso del denaro contante solo per i contratti di locazione ad uso abitativo, (escludendo i contratti ad uso commerciale),  ma potrebbe  anche essere una semplice svista del legislatore, che non ha colto la differenza tra “unità abitative” e “unità immobiliari”,  (questa è la soluzione più logica).

Questo, però,  non è l’unico elemento contenuto nella norma e diretto alla lotta all’evasione.

Infatti, la stessa norma attribuisce ai Comuni funzione di monitoraggio degli affitti “a nero”,  quindi, gli enti territoriali possono usare i registri dell’anagrafe condominiale ex art. 1130 comma I n. 6 c.c., il legislatore ha riconosciuto a questi enti territoriali il diritto di poter richiedere i registri, di visionare tali registri e di estrarne dati.

Quindi, i Comuni potranno richiedere all’amministratore p.t. del condominio la visione dei registri dell’anagrafe condominiale,  l’amministratore p.t. del condominio non potrà rifiutarsi, anzi sarà obbligato a fornire i relativi registri e dati in questi contenuti.

Aumentano, quindi, le responsabilità per l’amministratore in merito alla formazione (intesta come contenuto) ed all’aggiornamento dei registri condominiali.

trata in vigore del provvedimento: 01/01/2014

Art. 1 comma 49 e 50 

49. All’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo  2011,  n.  23, dopo il comma 10 e’ inserito il seguente:

«10-bis. Per assicurare  il  contrasto  dell’evasione  fiscale  nel settore delle locazioni abitative e l’attuazione di  quanto  disposto dai commi 8 e 9 sono attribuite ai comuni, in relazione ai  contratti di locazione, funzioni  di  monitoraggio  anche  previo  utilizzo  di quanto previsto dall’articolo  1130,  primo  comma,  numero  6),  del codice civile in materia  di  registro  di  anagrafe  condominiale  e conseguenti  annotazioni  delle  locazioni  esistenti  in  ambito  di edifici condominiali».

  50. All’articolo 12 del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge  22 dicembre 2011, n.  214, dopo il comma 1 e’ inserito il seguente: 
  «1.1. In deroga  a  quanto  stabilito  dal  comma  1,  i  pagamenti riguardanti canoni di locazione di unita’ abitative, fatta  eccezione per  quelli  di  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica,  sono corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia  l’importo,  in  forme  e modalita’ che  escludano  l’uso  del  contante  e  ne  assicurino  la tracciabilita’  anche  ai  fini   della   asseverazione   dei   patti contrattuali  per  l’ottenimento  delle  agevolazioni  e   detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore».

notaio

download

Il notaio è l’unico soggetto, nel nostro ordinamento, a ricoprire contemporaneamente la qualità di libero professionista e di pubblico ufficiale.

Egli svolge il primario compito di controllare la legalità degli atti compiuti davanti a lui, verificando che il loro contenuto sia perfettamente in linea con le norme imperative previste nel nostro ordinamento e che sia esente da vizi tali da comportare la nullità o comunque l’inefficacia dell’atto stesso.  Il suo incarico si limita dunque a fornire alle parti ogni elemento inerente alla situazione dell’immobile sotto il profilo della regolarità catastale e delle trascrizioni, senza estendere il proprio giudizio sulla convenienza o meno dell’affare.

Il ruolo e la funzione del notaio nella contrattazione immobiliare può definirsi come quello di custode del rispetto delle regole poste dall’ordinamento e, allo stesso tempo, quella di interpretare la volontà delle parti.

In primario rilievo il notaio è obbligato alla verifica del titolo di provenienza di colui che intende vendere, il cosiddetto atto di provenienza, dal cui contenuto il notaio deve rilevare i dati identificativi (catastali) dell’immobile, i dati di riferimento del precedente titolo di provenienza, l’indicazione delle formalità pregiudizievoli con menzione dei relativi estremi di trascrizione o iscrizione presso i registri immobiliari e il riferimento a particolari situazioni concernenti la disciplina condominiale, quali l’indicazione delle quote millesimali, la descrizione delle parti comuni e  l’eventuale spettanza a taluno dei comproprietari di diritti di esclusività delle parti esterne del complesso.

Il costo complessivo dell’atto di compravendita comprende gli onorari e i compensi per l’attività professionale del notaio e l’ammontare delle imposte, delle tasse e delle spese dovute per l’atto notarile e per l’attività che per legge il notaio deve svolgere prima e dopo la sua stipulazione. Vi è infatti l’obbligo per il rogante di pagare le imposte dovute in relazione all’atto, anche nel caso in cui non abbia ricevuto il relativo importo dalla parte. Il che comporta che, legittimamente, il notaio può rifiutarsi di accettare l’incarico di redigere un atto notarile e di svolgere la sua attività se prima dell’atto non abbia ricevuto quanto gli è dovuto per le imposte, per le spese e per la sua retribuzione. Occorre pertanto considerare che nel costo di un atto notarile rientrano l’ammontare delle imposte e delle tasse che il notaio riscuote per lo Stato, delle spese che devono essere sostenute presso pubbliche amministrazioni per la preparazione dell’atto e dei successivi adempimenti, delle spese che il notaio sostiene per garantire l’efficienza della organizzazione dello studio. La trasmissione telematica degli atti ai pubblici registri è, infatti, possibile grazie a una infrastruttura informatica, creata dal Notariato, che collega i notai con la Pubblica amministrazione.

Gli importi notarili sono determinati in proporzione al valore de contratto per il quale viene svolta la prestazione, unica eccezione a tale regola è costituita dal caso in cui la cessione dell’immobile possa farsi applicazione del meccanismo “prezzo valore”, introdotto dal c.d. Bersani-Visco nel 2006 che prevede, in deroga alle disposizioni in materia di imposta di registro, la possibilità di applicare l’imposta sul valore dell’immobile determinato sulla base della rendita catastale.

 

Riforma Fiscale

Dal 1° gennaio 2014 variano le imposte sull’acquisto della casa.

1) Quando si acquista la prima casa da un venditore privato l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte fino al 31 dicembre 2013:

imposta di registro= 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta ipotecaria= 168,00 (50,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta catastale= 168,00 (50,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
Nel caso l’immobile sia registrato al catasto come immobile di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) l’imposta di registro ha un valore del 7% sul valore dell’immobile fino al 31 dicembre 2013 (9% dal 1° gennaio 2014)

2) quando si acquista la prima casa da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) entro 4 anni dall’ultimazione lavori

IVA del 4%
imposta di registro= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta ipotecaria= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta catastale= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)

3) quando si acquista la prima casa da impresa non costruttrice che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione oppure si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) dopo 4 anni dall’ultimazione lavori

IVA esente
imposta di registro del 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta ipotecaria= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta catastale= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)

4) Se l’acquisto è un immobile ad uso abitativo non prima casa e il venditore è un privato o un’impresa non costruttrice o un’impresa costruttrice che ha ultimato i lavori da 4 anni, l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte:

imposta di registro= 7% (9% a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta ipotecaria= 2% (50,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta catastale= 1% (50,00 a partire dal 1° gennaio 2014)

5) quando il venditore è un’impresa costruttrice (o di ristrutturazione) che vende entro 4 anni dall’ultimazione lavori

IVA= 10% (22% se immobile di lusso)
imposta di registro= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta ipotecaria= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
imposta catastale= 168,00 (200,00 a partire dal 1° gennaio 2014)
Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono versate dal notaio al momento della registrazione dell’atto.
Dal 1° gennaio 2007 (per effetto della legge finanziaria per il 2007), soltanto per le compravendite di immobili ad uso abitativo, comprese le relative pertinenze (box, garage, cantine) a favore di un privato (acquirente), si può assumere come base imponibile il valore catastale, anziché dal corrispettivo pagato.

Per tutte le altre compravendite in cui l’acquirente non è un privato e/o che riguardano terreni, negozi o uffici, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale.

Quando la vendita della casa è soggetta ad Iva, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale. Relativamente a queste cessioni, le nuove disposizioni consentono all’ufficio di rettificare direttamente la dichiarazione annuale Iva del venditore se il corrispettivo dichiarato è inferiore al “valore normale” del bene. La legge definisce come valore normale “…il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (articolo 14 del D.P.R. n. 633 del 1972).

L’acquirente può chiedere al notaio che la base imponibile ai fini dell’applicazione delle imposte (registro, ipotecaria e catastale) sia costituita dal valore catastale dell’immobile, indipendentemente dal prezzo dichiarato dalle parti. In tal caso il rogito deve riportare anche il valore catastale dell’immobile. L’agevolazione spetta a condizione che nell’atto sia indicato l’effettivo importo pattuito per la cessione.

Nel caso in cui la compravendita sia tassata sulla base del valore catastale la legge stabilisce, inoltre, che le tariffe notarili devono essere ridotte del 30%.

L’acquirente, per poter fruire dell’applicazione delle imposte (di registro, ipotecaria, catastale) sul valore catastale dell’immobile, deve farne esplicita richiesta al notaio.

amministratore di condominio

Dopo oltre settanta anni la prossima settimana diverrà operativa la riforma del condominio che riguarderà venticinque milioni  di persone, tanti sono infatti gli italiani che vivono in uno dei mille condomini presenti sul territorio del nostro Paese. Ma soprattutto le modifiche toccheranno direttamente i 320 mila amministratori italiani, dei quali 250 mila si occupano dell’amministrazione di un solo condominio mentre altri, in media, gestiscono una quarantina di palazzi ciascuno.

Nel regolamento in vigore dal 18 giugno vi sono, rispetto alla figura dell’amministratore, vecchie regole che non sono state cancellate e molti nuovi compiti che sono stati previsti quindi, nonostante sia stata messa da parte l’idea di creare un albo professionale, questo ruolo non potrà più essere ricoperto da chi lo svolgeva come dopo lavoro o da un condomino che se ne assumeva la responsabilità ma solo in maniera professionale; è stata quindi prevista la possibilità di delegare questo lavoro a società e non solo a singoli, ovviamente con un possibile aumento dei costi.

Nomina e durata

Proprio all’insegna della maggiore professionalità che viene richiesta all’amministratore di condominio la riforma prevede dei cambiamenti anche rispetto a quali palazzi possano essere esentati dall’avere una persona che si occupi dell’amministrazione dello stabile. La vecchia normativa compredeva tutti i palazzi che avessero soltanto quattro condomini ora la nuova regolamentazione cambia ilquantitativo minimo ad otto, ovviamente però anche i palazzi dove vivono meno di otto persone possono decidere di avere un amministratore.

Per nominare la persona che si dovrà occupare dell’amministrazione il quorum minimo che serve deve rappresentare almeno i cinquecento millesimi e la maggioranza dei partecipanti all’assemblea; qualora  non si riuscisse a decretare un amministratore diverrà compito del Tribunale adempiere alla nomina dello stesso, il ricorso per dare vita a questa procedura potrà essere presentato da uno degli abitanti del palazzo o dall’amministratore dimissionario.

Rispetto al tempo della durata dell’incarico dell’amministratore ci sono alcuni punti non chiarissimi, ma pare che continui ad essere di dodici mesi e che se non viene revocata, anche senza che venga discussa, si intenderinnovata per un altro anno; ma questo rinnovo in automatico può essere applicato solo al termine del primo anno, dopo questo periodo si dovrà per forza nominare un nuovo amministratore o confermare il precedente. Tutto questo dovrà avvenire, dimissioni di uno e nomina del nuovo amministratore, nella medesima assemblea, anche senza che questo venga specificato nell’ordine del giorno poiché non sono più accettate situazioni di esercizio provvisorio.

Requisiti e compensi

Sono elencati nel testo della riforma anche tutti i requisiti che deve avere l’amministratore per svolgere il proprio lavoro: comune sia a quelli interni al condominio che a quelli esterni è il possedere il pieno godimento dei diritti civili, non essere stati condannati per reati contro l’amministrazione pubblica ed in generale non avere a proprio carico alcun reato che abbia una pena prevista dai due ai cinque anni. Oltre a questi requisiti l’amministratore esterno al condominio deve essere in possesso di un diploma o aver frequentato dei corsi di formazione ed anche i conseguenti aggiornamenti necessari.

Si mostra invece molto più complessa la nuova normativa riguardante la definizione del compensodell’amministratore poiché all’atto della nomina o del rinnovo dell’incarico questi dovrebbe essere in grado di comunicare in maniera analitica, specificando quindi le singole voci, l’importo che richiede come onorario per le diverse attività che dovrà svolgere. Questa richiesta di specifiche ha suscitato più di una perplessità riguardo alla possibilità di definire in modo così puntuale le diverse voci che andranno a formare l’onorario; se invece il compenso non viene definito come cifra onnicomprensiva l’amministratore manterrà il diritto di farsi pagare in caso di lavori straordinari di lunga durata o di particolare difficoltà; non spetta invece all’amministratore alcun pagamento per la partecipazione alle riunioni condominiali o per il passaggio della documentazione al subentrante in caso di dimissioni.

aumento canone di affitto

L’articolo 23, comma 1, legge 392/78 dettato in tema di locazioni abitative – successivamente abrogato dall’articolo 14, comma 4, legge 431/98 – disponeva che «quando si eseguono sull’immobile importanti e improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l’efficienza in relazione all’uso cui è adibito, o comunque opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità, il locatore può chiedere al conduttore che il canone … venga integrato con un aumento non superiore all’interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, dedotte le indennità e i contributi di ogni natura che il locatore abbia percepito o che successivamente venga a percepire per le opere eseguite». Il diritto all’aumento decorreva dalla data di ultimazione delle opere – se la richiesta era fatta entro trenta giorni dall’ultimazione medesima – ovvero, in mancanza, dal mese successivo a quello dell’invio al conduttore della lettera contenente la richiesta di aumento del canone (articolo 23, comma 2, legge 392/78). Ove il locatore intendesse avvalersi dei benefici fiscali previsti dalla legge 449/97 e successive modificazioni – cosiddetto bonus del 36% per detrazione Irpef – si riteneva corretto calcolare l’aumento del canone, tenendo conto dei benefici fiscali di cui si era avvalso il locatore. Quest’ultimo doveva, in ogni caso, tenere a disposizione del conduttore – salvo che quest’ultimo vi rinunciasse – la documentazione relativa alle opere (si veda Pretura di Milano, 5 marzo 1999). L’aumento per le riparazioni straordinarie importanti e improrogabili o di rilevante entità concorreva a determinare il canone contrattuale, sicché era destinato a permanere sino alla cessazione del contratto. In ogni caso, salvo che nel contratto di locazione sia inserita una clausola riproduttiva dell’abrogato articolo 23, legge 392/78 – pattuizione che sarebbe comunque legittima ed efficace – la materia delle spese straordinarie è rimessa alla libera determinazione delle parti, o in mancanza, agli articoli 1576 e 1609 del Codice civile. La piccola manutenzione. Per l’articolo 1576, comma 1 «il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore». A sua volta, l’articolo 1609, Codice civile dispone che «le riparazioni di piccola manutenzione che a norma dell’articolo 1576 devono essere eseguite dall’inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito».Infissi, porte e finestre. In ordine all’interpretazione degli articoli 1576 e 1609 del Codice civile, la giurisprudenza ha esemplificativamente ribadito che «la riparazione degli infissi esterni, delle persiane o delle porte di ingresso dell’immobile locato, non rientra tra quelle di piccola manutenzione che l’articolo 1576, Codice civile pone a carico del conduttore, perché i danni riportati da essi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell’immobile devono piuttosto presumersi dovuti a caso fortuito o a vetustà e debbono essere conseguentemente riparati dal locatore» (Tribunale di Salerno, 24 novembre 2006). Nello stesso senso, si veda Cassazione 27 luglio 1995, n. 8191, secondo cui la riparazione degli infissi esterni non rientra tra quelle di piccola manutenzione a meno che il loro ammaloramento non sia dipendente «da uso anormale dell’immobile» del conduttore. Sempre secondo la giurisprudenza, le «stecche rotte dell’avvolgibile di una tapparella, costituente chiusura esterna di una finestra o balcone dell’immobile locato, non rientra di regola tra le spese di piccola riparazione, che ai sensi dell’articolo 1609, Codice civile, sono a carico del conduttore, giacché nel processo di deterioramento di detta parte di chiusura (al contrario di quanto si verifica per le altre parti, come per esempio la cinghia), normalmente hanno rilievo preponderante non l’uso, bensì altri fattori, e in particolare gli agenti atmosferici (caso fortuito) e la qualità del materiale» (Pretura di Milano, 20 ottobre 1990).Impianti interni alla struttura. Per la giurisprudenza, non rientrano neanche, tra le riparazioni di piccola manutenzione, a carico dell’inquilino a norma dell’articolo 1609, Codice civile, quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico), per l’erogazione di servizi indispensabili al godimento dell’immobile atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell’inquilino per uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito o a vetustà (Cassazione 19 gennaio 1989, n. 271). Né vi rientrano le spese di imbiancatura, verniciatura, raschiatura dei pavimenti in marmo che sono a carico del locatore (Cassazione 17 ottobre 1992, n. 11401).E, dunque, non è sempre agevole stabilire, nel caso concreto, se si sia in presenza di piccola manutenzione, di manutenzione ordinaria o straordinaria sicché, in assenza di giurisprudenza specifica, può soccorrere, alla specie, come valido parametro interpretativo, la tabella, allegato G, al Dm delle infrastrutture 30 dicembre 2002, dettata per la diversa tipologia delle locazioni convenzionate (articolo 2, comma 3, legge 431/98). A seguito dell’abrogazione degli articoli 23 e 79, legge 392/78, la materia delle spese di manutenzione straordinaria nelle locazioni cosiddette libere è rimessa alla determinazione delle parti. Queste ultime possono anche stabilire, in deroga agli articolo 1576 e 1609 Codice civile, che tutte le spese di manutenzione, tanto ordinaria che straordinaria, siano accollate al conduttore.

« Pagina precedentePagina successiva »