Dopo oltre settanta anni la prossima settimana diverrà operativa la riforma del condominio che riguarderà venticinque milioni di persone, tanti sono infatti gli italiani che vivono in uno dei mille condomini presenti sul territorio del nostro Paese. Ma soprattutto le modifiche toccheranno direttamente i 320 mila amministratori italiani, dei quali 250 mila si occupano dell’amministrazione di un solo condominio mentre altri, in media, gestiscono una quarantina di palazzi ciascuno.
Nel regolamento in vigore dal 18 giugno vi sono, rispetto alla figura dell’amministratore, vecchie regole che non sono state cancellate e molti nuovi compiti che sono stati previsti quindi, nonostante sia stata messa da parte l’idea di creare un albo professionale, questo ruolo non potrà più essere ricoperto da chi lo svolgeva come dopo lavoro o da un condomino che se ne assumeva la responsabilità ma solo in maniera professionale; è stata quindi prevista la possibilità di delegare questo lavoro a società e non solo a singoli, ovviamente con un possibile aumento dei costi.
Nomina e durata
Proprio all’insegna della maggiore professionalità che viene richiesta all’amministratore di condominio la riforma prevede dei cambiamenti anche rispetto a quali palazzi possano essere esentati dall’avere una persona che si occupi dell’amministrazione dello stabile. La vecchia normativa compredeva tutti i palazzi che avessero soltanto quattro condomini ora la nuova regolamentazione cambia ilquantitativo minimo ad otto, ovviamente però anche i palazzi dove vivono meno di otto persone possono decidere di avere un amministratore.
Per nominare la persona che si dovrà occupare dell’amministrazione il quorum minimo che serve deve rappresentare almeno i cinquecento millesimi e la maggioranza dei partecipanti all’assemblea; qualora non si riuscisse a decretare un amministratore diverrà compito del Tribunale adempiere alla nomina dello stesso, il ricorso per dare vita a questa procedura potrà essere presentato da uno degli abitanti del palazzo o dall’amministratore dimissionario.
Rispetto al tempo della durata dell’incarico dell’amministratore ci sono alcuni punti non chiarissimi, ma pare che continui ad essere di dodici mesi e che se non viene revocata, anche senza che venga discussa, si intenderinnovata per un altro anno; ma questo rinnovo in automatico può essere applicato solo al termine del primo anno, dopo questo periodo si dovrà per forza nominare un nuovo amministratore o confermare il precedente. Tutto questo dovrà avvenire, dimissioni di uno e nomina del nuovo amministratore, nella medesima assemblea, anche senza che questo venga specificato nell’ordine del giorno poiché non sono più accettate situazioni di esercizio provvisorio.
Requisiti e compensi
Sono elencati nel testo della riforma anche tutti i requisiti che deve avere l’amministratore per svolgere il proprio lavoro: comune sia a quelli interni al condominio che a quelli esterni è il possedere il pieno godimento dei diritti civili, non essere stati condannati per reati contro l’amministrazione pubblica ed in generale non avere a proprio carico alcun reato che abbia una pena prevista dai due ai cinque anni. Oltre a questi requisiti l’amministratore esterno al condominio deve essere in possesso di un diploma o aver frequentato dei corsi di formazione ed anche i conseguenti aggiornamenti necessari.
Si mostra invece molto più complessa la nuova normativa riguardante la definizione del compensodell’amministratore poiché all’atto della nomina o del rinnovo dell’incarico questi dovrebbe essere in grado di comunicare in maniera analitica, specificando quindi le singole voci, l’importo che richiede come onorario per le diverse attività che dovrà svolgere. Questa richiesta di specifiche ha suscitato più di una perplessità riguardo alla possibilità di definire in modo così puntuale le diverse voci che andranno a formare l’onorario; se invece il compenso non viene definito come cifra onnicomprensiva l’amministratore manterrà il diritto di farsi pagare in caso di lavori straordinari di lunga durata o di particolare difficoltà; non spetta invece all’amministratore alcun pagamento per la partecipazione alle riunioni condominiali o per il passaggio della documentazione al subentrante in caso di dimissioni.
L’articolo 23, comma 1, legge 392/78 dettato in tema di locazioni abitative – successivamente abrogato dall’articolo 14, comma 4, legge 431/98 – disponeva che «quando si eseguono sull’immobile importanti e improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l’efficienza in relazione all’uso cui è adibito, o comunque opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità, il locatore può chiedere al conduttore che il canone … venga integrato con un aumento non superiore all’interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, dedotte le indennità e i contributi di ogni natura che il locatore abbia percepito o che successivamente venga a percepire per le opere eseguite». Il diritto all’aumento decorreva dalla data di ultimazione delle opere – se la richiesta era fatta entro trenta giorni dall’ultimazione medesima – ovvero, in mancanza, dal mese successivo a quello dell’invio al conduttore della lettera contenente la richiesta di aumento del canone (articolo 23, comma 2, legge 392/78). Ove il locatore intendesse avvalersi dei benefici fiscali previsti dalla legge 449/97 e successive modificazioni – cosiddetto bonus del 36% per detrazione Irpef – si riteneva corretto calcolare l’aumento del canone, tenendo conto dei benefici fiscali di cui si era avvalso il locatore. Quest’ultimo doveva, in ogni caso, tenere a disposizione del conduttore – salvo che quest’ultimo vi rinunciasse – la documentazione relativa alle opere (si veda Pretura di Milano, 5 marzo 1999). L’aumento per le riparazioni straordinarie importanti e improrogabili o di rilevante entità concorreva a determinare il canone contrattuale, sicché era destinato a permanere sino alla cessazione del contratto. In ogni caso, salvo che nel contratto di locazione sia inserita una clausola riproduttiva dell’abrogato articolo 23, legge 392/78 – pattuizione che sarebbe comunque legittima ed efficace – la materia delle spese straordinarie è rimessa alla libera determinazione delle parti, o in mancanza, agli articoli 1576 e 1609 del Codice civile. La piccola manutenzione. Per l’articolo 1576, comma 1 «il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore». A sua volta, l’articolo 1609, Codice civile dispone che «le riparazioni di piccola manutenzione che a norma dell’articolo 1576 devono essere eseguite dall’inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito».Infissi, porte e finestre. In ordine all’interpretazione degli articoli 1576 e 1609 del Codice civile, la giurisprudenza ha esemplificativamente ribadito che «la riparazione degli infissi esterni, delle persiane o delle porte di ingresso dell’immobile locato, non rientra tra quelle di piccola manutenzione che l’articolo 1576, Codice civile pone a carico del conduttore, perché i danni riportati da essi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell’immobile devono piuttosto presumersi dovuti a caso fortuito o a vetustà e debbono essere conseguentemente riparati dal locatore» (Tribunale di Salerno, 24 novembre 2006). Nello stesso senso, si veda Cassazione 27 luglio 1995, n. 8191, secondo cui la riparazione degli infissi esterni non rientra tra quelle di piccola manutenzione a meno che il loro ammaloramento non sia dipendente «da uso anormale dell’immobile» del conduttore. Sempre secondo la giurisprudenza, le «stecche rotte dell’avvolgibile di una tapparella, costituente chiusura esterna di una finestra o balcone dell’immobile locato, non rientra di regola tra le spese di piccola riparazione, che ai sensi dell’articolo 1609, Codice civile, sono a carico del conduttore, giacché nel processo di deterioramento di detta parte di chiusura (al contrario di quanto si verifica per le altre parti, come per esempio la cinghia), normalmente hanno rilievo preponderante non l’uso, bensì altri fattori, e in particolare gli agenti atmosferici (caso fortuito) e la qualità del materiale» (Pretura di Milano, 20 ottobre 1990).Impianti interni alla struttura. Per la giurisprudenza, non rientrano neanche, tra le riparazioni di piccola manutenzione, a carico dell’inquilino a norma dell’articolo 1609, Codice civile, quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico), per l’erogazione di servizi indispensabili al godimento dell’immobile atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell’inquilino per uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito o a vetustà (Cassazione 19 gennaio 1989, n. 271). Né vi rientrano le spese di imbiancatura, verniciatura, raschiatura dei pavimenti in marmo che sono a carico del locatore (Cassazione 17 ottobre 1992, n. 11401).E, dunque, non è sempre agevole stabilire, nel caso concreto, se si sia in presenza di piccola manutenzione, di manutenzione ordinaria o straordinaria sicché, in assenza di giurisprudenza specifica, può soccorrere, alla specie, come valido parametro interpretativo, la tabella, allegato G, al Dm delle infrastrutture 30 dicembre 2002, dettata per la diversa tipologia delle locazioni convenzionate (articolo 2, comma 3, legge 431/98). A seguito dell’abrogazione degli articoli 23 e 79, legge 392/78, la materia delle spese di manutenzione straordinaria nelle locazioni cosiddette libere è rimessa alla determinazione delle parti. Queste ultime possono anche stabilire, in deroga agli articolo 1576 e 1609 Codice civile, che tutte le spese di manutenzione, tanto ordinaria che straordinaria, siano accollate al conduttore.
È di estrema importanza verificare la conformità degli impianti; la regolarità dei certificati energetici (se si acquista un appartamento in un condominio); poi se ci si sta accingendo alla sottoscrizione di un preliminare di un edificio da costruire, è bene verificare se l’aria su cui verrà costruito l’edificio è oggetto di vincoli urbanistici o paesaggistici, piuttosto che sulle garanzie sui vizi della cosa completata che vengono forniti; i tempi di consegna ed eventuali penali previste.-
Bisogna distinguere, però, il preliminare di vendita dalla proposta d’acquisto, quest’ultima infatti impegna solo la parte che l’ha firmata, ed è solitamente necessario versare una somma di denaro a titolo di “caparra”, che viene imputata al prezzo, in caso di rogito finale.-
In quest’ultimo caso, qualora il venditore in un primo momento accetti la proposta, ma prima di sottoscrivere l’atto di vendita finale, rivenda a qualche altra persona lo stesso immobile, l’acquirente può solo chiedere il risarcimento danni e non una sentenza con cui si ottenga il trasferimento dell’immobile.-
La cosa più grave che potrebbe capitare è sicuramente l’iscrizione di ipoteche o di sequestri sui beni oggetto della proposta d’acquisto, ma per evitare effetti negativi in capo all’acquirente lo stesso può procedere alla trascrizione del preliminare con l’intervento del notaio, infatti si procede ad una sorta di prenotazione. L’atto garantisce, inoltre, una tutela all’acquirente anche nel caso di mancato adempimento del contratto preliminare, verrà preferito nel caso di fallimento del venditore-costruttore agli altri creditori.-